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Autoefficacia, la fiducia in se stessi

Aggiornamento: 7 apr

Oggi parliamo di autoefficacia e di quanto è importante coltivarla. Una nostra studentessa, partendo proprio da se stessa e dall'esperienza svolta durante il tirocinio, ha dedicato il suo lavoro finale proprio a questo delicato e quanto mai importante costrutto.


Anna Mercalli ci contatta tre anni e mezzo fa in un caldo pomeriggio di fine luglio.

Ci parliamo al telefono: ci racconta che vuole iscriversi ad una scuola di counseling e che si rivolge a noi perché in passato aveva organizzato con noi un corso di formazione rivolto ai dipendenti dell'azienda per cui lavora.

Chiaccheriamo e ci aggiorniamo a dopo l'estate. Anna si dimostra subito precisa, scrupolosa...quasi pignola nelle sue domande. Ma comprendiamo: è una scelta importante, lunga e che ti mette un po' a soqquadro.

In autunno diventa una nostra studentessa...modello! E non avevamo dubbi: la sua precisione, la sua scrupolosità si riflettono anche in aula. Ma Anna fa anche un grandissimo lavoro su di sé: in questi tre anni l'abbiamo vista letteralmente fiorire.

Anna ha imparato a fidarsi e ad affidarsi: a se stessa, ai docenti, al fluire delle lezioni. Si è aperta alla sorpresa della scoperta, ha imparato che anche se non si hanno tutte le risposte si può svolgere un ottimo lavoro. E' uscita dalle sue zone di confort...non senza fatica e non senza un grosso lavoro su di sé.

L'ammiriamo per questo: per il suo percorso, per la sua fioritura, per l'essersi affidata.

Oggi Anna collabora anche con noi...come counselor e formatrice. Ma sentiamo che cosa ci racconta di questa sua esperienza.



D: Anna hai scelto un tema importante per la tua tesi come l’autoefficacia nel counseling. Che cosa ti ha spinto a scegliere questo tema?

R: La mia tesi è stata un po' figlia del percorso di crescita personale che ho realizzato in questi tre anni di studi. Ad un certo punto mi sono accorta che era profondamente cambiata la mia percezione di autoefficacia, che era cresciuta al punto da non riconoscermi e da sorprendere perfino chi mi stava accanto! Così ho pensato che di farne una tesi, che è partita come lavoro su autoefficacia e counseling ed è diventata in realtà un vero e proprio “outing”: insieme alle storie delle mie clienti di tirocinio ho raccontato le mie esperienze di donna perennemente in lotta con certo senso di inadeguatezza davanti a qualsiasi incognita, sia nella vita professionale che in quella privata. Una donna che però, grazie al counseling, si è scoperta trasformata.


D: Ci spieghi che cos’è l’autoefficacia e perché è importante nel counseling

L’autoefficacia è la fiducia nelle nostre capacità di mettere in atto strategie adeguate ad affrontare le situazioni che ci si presentano, ma è anche la convinzione di poterci attivare per raggiungere quelli che sono i nostri obiettivi. Autoefficacia significa per me soprattutto avere la certezza di potermela cavare in circostanze nuove, in compiti o situazioni per le quali non ho (ancora) le abilità necessarie: costituisce una protezione, quasi un “sistema immunitario” verso le difficoltà e le sfide della vita. La percezione di autoefficacia si sviluppa fin dall’infanzia ma, per fortuna, non è un destino: possiamo lavorare per accrescerla e in questo il counseling è un meraviglioso alleato, perché aiuta a portare alla luce le nostre risorse, a riconoscere il nostro potere personale su ciò che ci accade.


D: Come sei riuscita a diventare autoefficace? Quali sono gli strumenti, le lezioni o le pratiche che ti sono state utili?

Innanzitutto, mettendo in discussione le convinzioni che avevo su me stessa: in questo la PNL, uno degli strumenti appresi nella scuola di counseling, è stata determinante perché mi ha permesso di smantellare gradualmente le mie credenze limitanti, diventate ormai dei comodi alibi per non mettermi alla prova. Poi accogliendo i feedback, sempre: chi non si sente autoefficace fatica ad accettare tanto le correzioni quanto le manifestazioni di fiducia e di considerazione. Ma il confronto costruttivo che si crea durante il percorso di studi insegna a trovare un’opportunità di crescita in ogni input che arriva dall’esterno. E poi un uso costante del dialogo interno: non siamo dei monoliti, dentro di noi esistono più “parti”, persone diverse. Mi sono divertita a dare loro dei nomi e le faccio dialogare: adesso, davanti ad ogni nuovo compito, parlano sia la Anna “Fifona”, quella che si agita, si tira indietro e dice “No, lasciamo perdere, troppo difficile”, ma anche la Anna “Genietta”, quella che in tante situazioni ha avuto successo e che risponde “Stai zitta e buona e lasciami lavorare”. La prima mi impedisce di lanciarmi in situazioni per le quali non sono abbastanza preparata o motivata, ma quando c’è da darsi da fare la seconda riesce sempre a spuntarla!


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