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Un caso di counseling: Paola che non smetteva mai

Torniamo con un altro caso di counseling agito. Parliamo di Paola e della sua continua mancanza di accoglienza. Di chi? O di che cosa? Scopriamolo insieme

Incontriamo Paola al tramonto di una sera d'estate. Entra nello studio con una camminata veloce, sembra trafelata.

E' arrivata di corsa? Non è in ritardo... -le diciamo dopo averla accolta e salutata. Sono quei momenti di conversazione in cui non è ancora iniziato il colloquio di counseling, ma si ha la possibilità di "studiare" il cliente che si ha davanti.

E sì...Paola sembra di corsa, ha fretta di iniziare il colloquio, vuole parlare. Aveva già dichiarato questa sua impellenza al telefono: La mia amica Sabrina mi ha detto che posso rivolgermi a lei. Per fortuna che ho trovato il tempo di chiamarla, ho un sacco di cose da fare e un sacco di cose da dire. Del resto, manca sempre qualcosa, non va mai bene niente, non arrivo mai dappertutto. Ecco vorrei parlare di questo: ne ho bisogno.

E così incontriamo Paola, ancora trafelata. Sempre di corsa.

Ci sediamo e la lasciamo parlare cercando di capire esattamente che cosa la rende così trafelata.

E Paola racconta.

E' mamma di 2 figli piccoli, manager in una multinazionale, un buon matrimonio ma non è soddisfatta.

Perché? Perché non riesce a fare tutto, le altre sono più brave, sempre in forma (lei è un po' ingrassata ultimamente), sempre al top anche sul lavoro: hanno case perfette, figli perfetti, matrimoni perfetti, carriera perfetta.


Il senso di inadeguatezza


Va bene, è tutto perfetto nelle vite degli altri e nella sua Paola? Nulla è perfetto? Proviamo a provocare un po' Paola, ma lei è granitica, non cede.

Sì, nulla è perfetto perché io non sono capace. Tutto quello che faccio per quanto sia l'impegno che metto, non è mai abbastanza, non è mai fatto bene, non è mai come quello fatto dagli altri.

Il senso di inadeguatezza di Paola è abbastanza evidente. Un'inadeguatezza che non le impedisce di avere una vita sociale, delle relazioni e ottenere dei risultati: solo che Paola non smette mai di essere insoddisfatta. Ma non della vita, delle relazioni, del suo lavoro...di se stessa.

Paola non si basta e non può dirsi che va bene così, che è abbastanza. E' abbastanza quello che è, è abbastanza quello che fa, è abbastanza quello che dice.

Per Paola non è possibile: se solo c'è un margine di miglioramento, lei deve migliorare; se solo vede che qualcuno ottiene un risultato migliore allora lo deve ottenere anche lei.

Paola è in competizione con se stessa e questo la rende insoddisfatta, incapace di gustare ciò che la vita le offre.

Non un malessere o un disagio profondo ma qualcosa che le dice che è il momento di cambiare.


Essere abbastanza non è peccato: come abbiamo lavorato con Paola


Il problema di Paola è il non accogliersi, il non accettarsi per come si è. Pensare sempre di dover essere all'altezza, anche una spanna sopra di quell'asticella che ella stessa tende ad alzare ogni volta che raggiunge un successo.

Con Paola abbiamo lavorato per un breve percorso portandola alla consapevolezza che un altro professionista sarebbe stato la figura migliore per lei. Un passaggio non facile perché la cosa poteva essere letta anche come un rifiuto e di conseguenza come dimostrazione della sua effettiva inadeguatezza. Nei quattro incontri in cui ci siamo visti abbiamo chiesto a Paola di scegliere un modello, una persona che lei stimava, che reputava essere all'altezza della situazione, sempre sicuro, sempre vincente, sempre perfetto.

Paola ha scelto la sua amica Sabrina, la stessa che l'aveva mandata nel nostro studio a fare quattro chiacchere.

Una volta scelto il modello, il compito di Paola era osservarlo con uno sguardo neutro, spogliato dall'ammirazione cieca che Paola nutriva nei confronti di Sabrina. Dalla semplice osservazione si è passati all'ascolto: Paola si è accorta che non si confrontava mai con Sabrina sulle sue emozioni, sulle sue insicurezze…semplicemente non ne parlava e soprattutto non ascoltava i racconti di Sabrina. Ogni volta che Sabrina le parlava dei suoi problemi, delle sue paure, delle sue insoddisfazioni, Paola partiva a raffica a raccontare le proprie e non si accorgeva delle mille imperfezioni di Sabrina.

Il suo modello non era così adeguato in fondo eppure era bellissimo. Come mai Paola non lo era? Perché non si bastava mai?

Non lo accetto, non posso, non io. Le altre sì, io no. Questo ripeteva Paola ogni volta che faceva un passo avanti: non voleva arrendersi all’evidenza, non voleva accettarsi né accogliersi.

Abbiamo continuato allora con altre riflessioni e con altri esercizi invitando Paola a prendere nota di tutto quello che faceva durante una giornata tipo per passare poi ad analizzare il come veniva fatto e come veniva fatto da Sabrina. Differenze poche, ritornello cambiato: sì, vero faccio tanto ma...

Un'altra resistenza.

Smuovere la convinzione di Paola era difficile: arrivava a negare anche l'evidenza pur di darsi ragione, pur di dirsi che non era abbastanza.

Al terzo incontro abbiamo osato: Paola avrebbe dovuto redigere una lista di successi e, ogni giorno fino alla volta in cui ci saremmo riviste, avrebbe dovuto raccontare a qualcuno uno dei suoi successi. Abbiamo forzato un po' la mano, lo ammettiamo, giocando sul forte senso del dovere di Paola: era un compito che doveva essere svolto.

Paola diligentemente lo svolse...e sorpresa: la sensazione era piacevole. Dopo le prime volte in cui aveva provato imbarazzo e senso di colpa si era sentita sempre meglio. Un giorno Sabrina, il suo modello, aveva esclamato: sì, hai ragione ti ho sempre ammirato per questo tuo risultato!

Avevamo aperto uno spiraglio, una nuova consapevolezza: sono come gli altri e essere abbastanza non è peccato, è un dovere.

Abbiamo salutato Paola invitandola a fare un percorso più strutturato con un altro professionista: era pronta.

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